Il mondo sospeso




Scritto (76 pagg.) da richiedere a Associazione S.O.S. Mondo Nuovo

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Il ritorno

Mi Dios no tiene nombre", gli ho detto, "yo creo en el Hombre, en el Espiritu y en el Amor: este es mi credo”.

Y en la Esperanza”, ha aggiunto lui fiducioso.

Sì, y en la Esperanza”, ho convenuto ricambiando la fiducia, senza pensarci troppo.

Ecco un maturo cacciatore di nuvole e un giovane fan della speranza, imprevedibilmente uno di fronte all’altro nella piazza grande di San Cristòbal. Il primo con una vita già in gran parte alle spalle, l’altro con quasi tutto il futuro davanti, a concordare su molte cose tranne, suppongo, sotto quali insegne valga la pena di vivere: se liberi come il vento o incatenati a una storia di duemila anni fa. Lui con una divisa totale sulla sua anima e io che non so ancora decidere che fare della mia.

La piazza è la stessa, le panchine, l’ombra fresca, il sole che brucia, la macedonia di passato e presente, con indigene più o meno scalze nei loro huipiles vivaci, giovani in jeans e gonne all’occidentale... Tutto uguale, come l’avevo lasciata.

Ma quegli odori inconfondibili nell’aria, che l’anno scorso ho respirato senza accorgermene, ora mi sono venuti incontro all’improvviso, quando il taxi è entrato in San Cristòbal de Las Casas. Ecco, adesso sono proprio arrivato, ho pensato in quel momento, dopo due giorni interminabili di viaggio, scavalcando continenti, sopra le nuvole. Marzo è appena iniziato, come lo scorso anno.

“Questa parte del Messico ha un clima imprevedibile”, ha detto guardando un breve passaggio di nuvole il giovane Ramon, padre Ramon. “Sarà per questo che gli indios non riescono a programmarsi la vita e vivono alla giornata”, ho scherzato. E' il solito modo di glissare sulle questioni che inquietano troppo: il tempo, parliamo del tempo.

Il nostro dialogo è lento, le parole vengono scandite per capirsi meglio, però la fatica vera la faccio io che devo inventarmi anche lo spagnolo che non so. Dal chiosco giungono canzoni della tradizione messicana, accompagnate dalla marimba, ma non sono sicuro che Ramon le gradisca, visto che si è appena dichiarato stonato e totalmente ignorante di musica.

Poi lui è tornato impaziente sull’argomento. Forse ha voglia di rivelarsi ed è tentato di farlo con me.

“Bisogna andare a una rottura con queste istituzioni per riscoprire la fede”, ha ripetuto due volte con parole diverse e io mi sono chiesto se si rende conto di ciò che sta dicendo. Ma no, qui tutto è possibile, finanche che in seminario si apprenda, come mi è parso di capire, che la via è la rottura e che talvolta bisogna tagliare il nodo anziché scioglierlo. America latina, teologia della liberazione, rivoluzione, tutto può stare nello slogan “un mondo migliore è possibile”. Il problema dirimente , mi sembra di capire, è il “come”.

Per il momento tutto sembra puntare sul “diversamente” e preannunciarsi con grandi dichiarazioni di principio, scandite da folle di poveri e di scontenti di tutto il mondo, spesso sul crinale tra speranza e disperazione. Ma qualche "diversamente", qualche strada alternativa che si affaccia, se non è pericolosamente ingenua, fornisce materia a programmi troppo ambiziosi da potersi realizzare. Intanto c’è terreno fertile per la paranoia, i buoni da una parte, i cattivi dall’altra. Un po’ inquietante come scenario.

Esiste un altro paese come il Messico in cui la rivoluzione è stata tanto evocata e tanto tradita nell’ultimo secolo? Ancora oggi, partiti messicani in competizione tra loro si fregiano dell’appellativo “rivoluzionario” (PRI, PRD) o evocano nei loro slogan la rivoluzione, ma il risultato è sotto gli occhi: il Messico stenta a decollare, nonostante le grandi potenzialità, e il suo Chiapas è letteralmente in miseria.

Me lo sono chiesto ripetutamente, prima di partire, durante e dopo il viaggio: ora devo cominciare a rispondere. Quale può essere per me il senso di quest’altro viaggio: un modo nuovo per rivivere il Chiapas? Rituffarmi negli odori, nei colori, tra i volti di cuoio degli indigeni e, trovata la giusta dimensione di mente e spirito, verificare a cosa credo? Confrontarmi con un ragazzo già sacerdote, bellino e dall’aria innocente, che mi scruta con i suoi occhi fiduciosi, può aggiungere qualcosa ai giorni che mi aspettano?

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Un mondo sospeso

Questa è una terra che ancora non conosco, certamente, ma già mi affa­scina. Mi attira e mi inquieta. Tra queste montagne, dove nuvole, neb­bia e sole si contendono quotidianamente il cielo, avverto la presenza di un mondo sospeso - incantato? - in cui il tempo si è fermato, e di un vortice intorno che non l’ha ancora risuc­chiato.

Ma ora che ci faccio qui, perché sono tornato? Sto forse fantasticando di impedire che la storia faccia il suo corso? La storia con il suo vor­tice, intendo.

La storia: le sue intenzioni sono chiare, tutto deve essere assimilato, non c’è più posto per i mondi sospesi o, peggio, per i mondi incantati, neanche nella fantasia ormai. Forse quello che scorgo è già il dopo e gli indios variopinti che vedo aggirarsi con gli occhi assorti per le strade di San Cristòbal fanno parte del gregge di miti che si è già smarrito e non tor­nerà più a casa. Perché non vorrà più tornare. Troppo dolore alle spalle, troppa miseria, è ora di partecipare alla baldoria inebriante del resto del mondo.

A Winiktòn, “Uomo di pietra”, un ermita non lontano da Tenejapa, si sono radunate per il primo venerdì del mese otto comunità di indios tzeltàles. Cinque battesimi e un matrimonio mi hanno offerto un pic­colo saggio della ritualità maya combinata con il rito cristiano: sempli­cità, povertà e molta partecipazione all’evento.

I due sposi avranno avuto intorno ai diciassette anni e per tutto il tempo della celebrazione non hanno alzato gli occhi da terra, lei con la faccia quasi completamente nascosta nello scialle di panno nero pe­sante. Come si usa, si sono sposati prima in casa e ora si sposano in chiesa: prima l’antico rito maya, poi quello cristiano nell’ermita di Winiktòn.

Sono stati per tutto il tempo immobili e assorti davanti all’altare, finché qualcuno li ha avvolti insieme in un nastro bianco. Lo ha fatto passare accuratamente attorno alle loro spalle disegnando una forma a otto, come a indicare che le loro vite si stavano legando, con un nodo complicato o impossibile da sciogliere.

I cinque bambini battezzati hanno da pochi mesi di vita a due anni, tutti pacificamente nel rebozo materno. Quando ricevono l’acqua fredda sulla testa, solo una bambina piange forte, gli altri niente o appena un gemito.

Dopo la celebrazione, padre Gabriel mi ha presentato - ma alcuni già mi conoscono - in una baracca affollata come l’hermano italiano che è ritornato in Chiapas per collaborare al progetto di costruire una clinica per il popolo indigeno”. L’applauso è stato caloroso.

Gli sono stato grato per non avermi presentato come una specie di benefattore, perché la cosa mi avrebbe molto imbarazzato e per certi versi anche ripugnato. Il lavoro che ho fatto durante l’anno, non da solo, per raccogliere i fondi mi ha già molto gratificato e mi ha fatto scoprire in tanta gente una generosità che non sospettavo. Ma lo ritengo quasi una sorta di risarcimento a questa gente. O qualcosa di necessario per chi dà, comunque, se non di dovuto.

Il viaggio nel tempo

Ci sono dei desideri che somigliano un po’ ai sogni ad occhi aperti e.......

Continua.............................................................................


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